La spondiloartrite assiale (SpA) radiografica - nota come spondilite anchilosante (AS) - è una malattia infiammatoria cronica che colpisce prevalentemente le articolazioni sacroiliache e la colonna vertebrale. Caratteristica peculiare della patologia è la coesistenza di alterazioni di tipo infiammatorio e fenomeni osteoproduttivi (sindesmofiti, anchilosi).
Nelle forme iniziali prevalgono gli aspetti infiammatori, specie a livello delle articolazioni sacroiliache; con il passare del tempo, l’infiammazione si estende alla colonna ed intervengono processi di tipo osteoproduttivo che possano esitare in rigidità, deficit funzionale e disabilità permanente.
La risonanza magnetica (RMN) è oggi l’esame principe nello studio della AS poiché consente di visualizzare sia le lesioni infiammatorie (edema osseo, BMO) che il danno strutturale (conversione adiposa, erosioni, sclerosi e anchilosi). Pregressi studi RMN hanno consentito di ricostruire un modello fisiopatologico ampiamente accettato, che partendo dalle lesioni infiammatorie e passando per la trasformazione fibroadiposa culmina nel processo di neoapposizione ossea. In questo contesto, il trattamento continuativo (> 4 anni) con farmaci biologici anti-TNF ha dimostrato la capacità di riduzione il tasso di progressione radiologica rispetto ai farmaci convenzionali; tale effetto è stato in gran parte attribuito all’abbattimento precoce dell’infiammazione, drive principale del viraggio verso il fenotipo osteoproduttivo. Nonostante ciò, l’effetto dei farmaci anti-TNF sull’attività biologica degli osteoblasti in vivo non è stato adeguatamente studiato.
Grazie agli avanzamenti della tomografia a emissione di positroni (PET) e all’avvento di nuovi traccianti osteoblasto-specifici come il sodio fluoruro (18F-NaF) è possibile oggi visualizzare l’attività osteoblastica a livello locale in vivo. In questo studio, gli autori hanno quindi valutato l’effetto del trattamento con anti-TNF sull’attività osteoblatica mediante PET/RMN con 18F-NaF sulle varie lesioni RMN che caratterizzano la SA.
DISEGNO DELLO STUDIO
L’articolo riporta i dati di uno studio osservazionale proof-of-concept per il quale sono stati reclutati pazienti con SA attiva (definita come score BASDAI ≥4 nonostante trattamento con dose piena di almeno 2 farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) per almeno 4 settimane) e presenza di almeno una lesione infiammatoria alla RMN delle articolazioni sacroiliache o vertebrale.
Al baseline e dopo un follow-up di 3-6 mesi dall’avvio della terapia con anti-TNF è stata eseguita RMN delle articolazioni sacroiliache e del rachide nonché imaging integrato PET/MRI 3.0 con 18F-NaF con scansioni ottenute durante la fase di mineralizzazione per quantificare l’attività osteoblastica. Le immagini sono state valutate da tre reader indipendenti (un medico nucleare e due radiologi), blinded al time-point e alle caratteristiche cliniche del paziente.
RISULTATI
Data la natura proof-of-concept dello studio sono stati reclutati soltanto 17 pazienti (68% maschi), con età media al baseline di 38 anni, dei quali l’81,3% presentava l’antigene HLA-B27. Al baseline, il 58,6% delle articolazioni sacroiliache presentava lesioni da BMO, il 93,8% lesioni adipose, il 53,9% sclerosi, il 77,3% erosioni e il 12,5% anchilosi. La presenza di uptake focale del tracciante osteoblasto-specifico 18F-NaF era visibile nell’86,7% delle lesioni sacroiliache, più frequentemente in quelle di tipo BMO (96%), ma anche in un’elevata percentuale di pazienti con altro tipo di lesione (86-94%). Dopo un follow-up medio di 4,6 mesi dall’inizio della terapia con anti-TNF, si osservava una riduzione netta del 50,7% delle lesioni infiammatorie senza modifiche significative nel numero di lesioni strutturali. L’uptake di 18F-NaF si riduceva invece in tutte le lesioni con un effetto più pronunciato per le lesioni di tipo BMO (SUVmax 14,637 vs 11,466).
Per quanto concerne invece le alterazioni vertebrali, l’11,0% degli angoli vertebrali presentava BMO, il 6,7% conversione adiposa e l’1,2% sclerosi; un aumento dell’uptake di 18F-NaF era presente nell’8,4% degli angoli vertebrali, in particolar modo in presenza di sclerosi (81,8%). Anche in questo caso l’edema si riduceva al follow-up di circa il 66%. In maniera analoga a quanto osservato per le articolazioni sacroiliache, la più marcata riduzione del SUVmax si osservava nelle vertebre che presentavano BMO.
IMPATTO NELLA PRATICA CLINICA
I farmaci anti-TNF rappresentano al giorno d’oggi un vero e proprio pilastro nel trattamento dei pazienti affetti da AS. Un’ampia mole di dati ha ormai confermato la loro efficacia in termini di controllo delle manifestazioni infiammatorie di malattia unitamente a un ottimo profilo di safety. I dati di questo studio proof-of-concept rappresentano un importante contributo fisiopatologico a supporto dell’avvio precoce della terapia con farmaci anti-TNF nella ragionevole aspettativa di ridurre la progressione radiografica – responsabile delle manifestazioni più severe e invalidanti di malattia –, attraverso un meccanismo aggiuntivo – la riduzione dell’attività osteoblastica – che potrebbe sommarsi all’effetto antinfiammatorio.
COMMENTO
Il presente studio, pur con i limiti della sua natura proof-of-concept e del breve follow-up è il primo a dimostrare una riduzione dell’attività osteoblastica in vivo dopo trattamento con farmaci anti-TNF in pazienti affetti da AS attiva, sia a livello delle articolazioni sacroiliache sia della colonna vertebrale. Tale dato potrebbe rappresentare un’importante base fisiopatologica per spiegare gli effetti positivi sulla progressione radiografica, che andrebbero ad aggiungersi a quelli già noti sulla componente infiammatoria di malattia. La riduzione dell’attività osteoblastica, tra l’altro, era massima in quelle sedi dove, alla RMN, si evidenziava BMO. Questo studio, quindi, apre un nuovo scenario fisiopatologico con possibili implicazioni prognostiche, che tuttavia dovrà essere approfondito in studi successivi con adeguato power che possano confermare l’impatto della riduzione dell’attività osteoblastica sulla progressione radiografica.