L’artrite reumatoide è una patologia infiammatoria cronica caratterizzata, tra l’altro, da un eccesso di mortalità rispetto alla popolazione generale, attribuibile in gran parte a un eccesso di eventi cardiovascolari. Questo gap origina da una sinergia tra gli effetti vascolari dell’infiammazione cronica (a sua volta legata all’attività di malattia), un’elevata prevalenza di fattori di rischio cardiovascolare tradizionali e il noto effetto sfavorevole di alcune terapie (es. corticosteroidi).
Nonostante l’avvento di nuove molecole terapeutiche e il miglioramento dell’aspettativa di vita nella popolazione generale, questo gap cardiovascolare sembra aver beneficiato solo in minima parte di queste conquiste della ricerca farmacologica.
BACKGROUND
L’articolo in oggetto riporta i risultati di uno studio osservazionale recentemente pubblicato su Annals of the Rheumatic Diseases, basato su dati real-life derivati da quattro registri nazionali di malattia dei principali paesi nordici (Danimarca, DANBIO; Finlandia, ROB-FIN; Norvegia, NOR-DMARD; Svezia, SRQ-ARTIS). Sono stati reclutati tutti i pazienti che avevano iniziato, nel periodo 2008-2017, una terapia con farmaco biotecnologico (originator o biosimilare) o un inibitore delle Janus kinasi (JAK inibitori). L’occorrenza di sindrome coronarica acuta (SCA: angina instabile, infarto miocardico) nelle varie coorti è stata accertata mediante linkage con altri specifici registri secondo una metodologia validata. A titolo di confronto sono state utilizzate due coorti rappresentative della popolazione generale rispettivamente Danese e Svedese, appaiate 1:10 e 1:5, per sesso, età e area di residenza.
RISULTATI
Sono stati reclutati un totale di 24083 pazienti di cui il 27% trattati con etanercept, il 14% con adalimumab, il 13% con infliximab, il 12% con rituximab, il 10% tocilizumab, il 9% con certolizumab pegol, il 9% con abatacept e il 6% con golimumab. Una percentuale minima (<1%) dei pazienti era invece trattata con JAK inibitori; pertanto, tali pazienti sono stati esclusi dalle successive analisi.
Durante il follow-up massimo di 5 anni si sono registrati 780 eventi SCA. Rispetto alla popolazione di controllo il rischio cumulativo era superiore di circa l’80% (HR 1.8); il rischio calcolato per singolo farmaco andava da un HR di 1,4 per etanercept a un HR 2,1 per rituximab. In tutte le comparazioni si osservava un incremento significativo del rischio di SCA nei pazienti trattati con rituximab (HR 1,84 – 2,31) o abatacept (HR 1,32-1,75) rispetto ad etanercept; tale differenza andava assottigliandosi dopo aggiustamento per caratteristiche di malattia, comorbidità e terapie concomitanti.
IMPATTO NELLA PRATICA CLINICA
La gestione ottimale del rischio cardiovascolare nei pazienti affetti artrite reumatoide rimane uno dei principali unmet needs della reumatologia moderna. La diagnosi precoce, la solida efficacia e sicurezza dei primi farmaci biologici, la crescente disponibilità di nuove molecole, hanno contribuito a un drammatico miglioramento nella gestione della malattia articolare. Un analogo beneficio non si è tuttavia ancora osservato per quanto concerne il dominio cardiovascolare; come questo studio – condotto in “era biologica” – conferma, persiste un “gap” caratterizzato da un incremento del rischio di SCA di circa l’80% rispetto alla popolazione generale che appare sostanzialmente invariato rispetto alle storiche coorti reclutate nell’epoca pre-biologica. Nella pratica clinica, attenzione deve essere posta alla scelta di una terapia che possa garantire contemporaneamente un adeguato risultato in termini di controllo della malattia e di ottimizzazione del profilo di rischio cardiovascolare.
COMMENTO
Lo studio offre un contributo aggiornato per il progresso della “precision medicine” applicata alla gestione delle comorbidità extra-articolari nell’artrite reumatoide. Con l’importante vantaggio dei grandi numeri, esso fornisce il primo dato real-life di confronto diretto tra le principali molecole terapeutiche a oggi in uso, suggerendo che la safety cardiovascolare dei farmaci anti-TNF (etanercept, adalimumab, golimumab, certolizumab pegol) potrebbe essere superiore rispetto ad altre classi terapeutiche (abatacept e rituximab). Sebbene – dato il design osservazionale – tali risultati potrebbero essere in parte condizionati da alcuni bias, legati in particolar modo a differenze tra le varie coorti di trattamento (es. durata di malattia, numero di comorbidità, esposizione ad altri biologici o corticosteroidi), l’utilizzo di farmaci anti-TNF sembra continuare a garantire un buon bilancio tra outcomes articolari e benefici cardiovascolari.